L’ESPERIENZA DEL MENTORING

Nella mitologia greca, Mentore è un personaggio dell’Odissea a cui Ulisse affida il figlio Telemaco prima di partire; è anche l’uomo di cui Atena - dea della Saggezza - prende le sembianze quando Ulisse ritorna a Itaca, soprattutto per sostenere il figlio Telemaco e infondere coraggio al padre-eroe nella lotta per la riconquista di casa.

La mia esperienza da mentore con il Forum della Meritocrazia è iniziata poco prima dello scoppio della Pandemia, e devo confessare che all’inizio del mio percorso, quando non riconoscevamo più il mondo che ci circondava, non è stato facile parlare di futuro. Ascoltare le aspirazioni, le ambizioni e la voglia di cominciare dei ragazzi, mentre tutto, me compresa, era intriso di incertezza, sembrava paradossale. 

È stata proprio quella condizione di difficoltà a farmi capire che fare il mentore vuol dire soprattutto ascoltare il talento, intuirlo, interpretarlo insieme al mentee, e tutto ha preso nuovamente forma e significato. Come il Mentore di Omero, noi cerchiamo di dare saggezza, confronto e coraggio a chi inizia un percorso di questo tipo, per portarlo a conquistare un sé stesso che ancora non conosce.


Il bello del talento - e tutti, sottolineo, lo abbiamo - è una magia. Quando si comprendono le tante sfaccettature di questo ambito della natura umana, si diventa in grado di interpretare e sviluppare al meglio la propria identità e di conseguenza di trovare il percorso più adatto alla propria esistenza.

Grazie a questa consapevolezza e alla capacità di connecting the dots – come direbbe qualcuno – ho sviluppato una professione che oggi si chiama Purpose&Talent Agent, e sono sempre più convinta che, comunque lo si chiami questo percorso, è il migliore degli investimenti che possiamo fare per il nostro futuro.

Tornando a parlare di talento e delle attività che stimolano l’esercizio della sua comprensione e del suo sviluppo, il mentoring è tra quelle più efficaci, per un semplice motivo: è fatto di crescita e scambio. La relazione tra mentore e mentee è diretta, fatta di un confronto; esistono delle regole per gestire questa relazione, ma le inclinazioni che prenderà il rapporto nella sua evoluzione facilitano uno scambio autentico, dove ci sono la sincerità e la trasparenza a garantire la riuscita di quello che è sempre un percorso fatto in due. 

I greci definivano il talento daimon, un demone che si impossessa dell’uomo e lo guida nella creazione. È il genio creatore che guida l’artista, il condottiero, il filosofo, nel perseguimento dei propri obiettivi, nella creazione della perfezione. In modo meno drammatico, mi piace pensare al talento come al regista delle nostre scelte e delle azioni che ne conseguono. Se ci guida il talento siamo allineati con quello che ci circonda, c’è coerenza tra desiderio e obiettivi, metodo e mezzi che usiamo per perseguirli.
Perché il talento si sprigioni dobbiamo però coltivarlo e svilupparlo: è per questo che mettere insieme due talenti - uno consapevole e uno più acerbo – è un ottimo esercizio. Da una parte aiuta chi è all’inizio di un percorso a sviluppare la consapevolezza delle proprie, tante opportunità, dall’altra restituisce a chi ha maggiore esperienza la conferma che il percorso già fatto è una ricchezza che va condivisa, è la ragione per cui le figure dell’allievo e del maestro sono parte fondante di tutte le culture.

Tornando alla mia esperienza, per me è fondamentale aiutare il mentee a comprendere non soltanto che le opportunità esistono, ma che bisogna saperle riconoscere proprio rispetto al proprio talento, e soprattutto che il vero lavoro è capire cosa si vuole diventare, cosa è in grado di restituire senso alla nostra presenza nel mondo e, senza voler essere melensi, cosa ci rende felici. Cerco sempre di capire se nella persona che mi sta di fronte c’è una visione consapevole di sé stessi: delle proprie capacità, dei propri limiti, delle insicurezze e del perché le abbiamo. Spesso dimentichiamo – e a volte non lo sappiamo nemmeno - che chi siamo e cosa facciamo non devono essere concetti distanti, ma anzi, dovrebbero essere due pezzi complementari della nostra vita. I più fortunati sono quelli in cui questi due pezzi coincidono. Come dice il proverbio “fai quello che ami e non lavorerai un giorno della tua vita”: non è vero, perché il lavoro è sempre faticoso anche quando lo ami, ma il senso profondo di questo detto è: Quanto più riuscirai a mettere al servizio della tua professione le tue capacità innate e profonde, tanto più sarai in grado di far fiorire te stesso.
Tuttavia, parlare e ragionare insieme di questi temi, coinvolgere sempre più professionisti in percorsi di questo tipo, diffondere la cultura del talento e del merito, è un passo importante nello sviluppo di una società che rispetta il mondo in cui vive e le persone che lo abitano.

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